Dalla terra è issata la nube! Nella notte del 22 aprile 1915, la brezza spinge un gigantesco miasma verdastro di odore acre, con un concentrato di 150 tonnellate di gas nocivo al cloro, fuoriuscito da 5.000 fusti collocati su 6 chilometri e schiusi dalle truppe tedesche a Ypres, in Belgio, contro le trincee nemiche. Per i soldati francesi è smarrimento e panico; nella battaglia gridano, ansimano, tossiscono, sputano sangue, barcollano e rotolano sul suolo a causa dell'intenzionale immissione nell’ambiente di quella sostanza tossica che interrompe artificialmente i 15 aliti al minuto dell’essere umano, il quale diviene complice involontario della propria distruzione nell’atto naturale del respirare.
In un dipinto d’epoca del pittore tedesco Otto Bollhagen (1861-1924) è ritratto un test di armi chimiche in Germania con del gas cosparso su un raggruppamento di cavie militari dotate di maschere protettive, mentre all’estremo lato sinistro del quadro due personaggi presenziano al collaudo. Non c’è dubbio che si tratta dei responsabili chimici della Commissione incaricata dal ministero della Guerra di studiare gli scarti o i sottoprodotti dell’industria dei coloranti, per utilizzarli negli armamenti: uno è Carl Duisberg (1861-1935), manager della compagnia farmaceutica tedesca Bayer; l’altro è Fritz Haber (1868-1934), direttore del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino. «Il nemico non se ne accorgerà nemmeno quando un’area sarà irrorata. Rimarrà tranquillo al suo posto fino a quando ne subirà le conseguenze», disse Duisberg a Haber, che ribatté: «Il gas permetterà di porre fine alla guerra in fretta e facilmente, anche al costo di trovare delle miscele tossiche più rapide e letali», pensando che, ristabilita la pace, le stesse sostanze potessero servire all’agricoltura.
Haber è un patriota tedesco e un paladino della stirpe occidentale.
È colui che nel 1909 all’università di Karlsruhe fissò l’azoto dell’aria facendolo
reagire con l’ossigeno ad alta pressione e alla temperatura di centinaia di
gradi, in modo da ottenere il composto azotato dell’ammoniaca alla base dei
fertilizzanti e l’acido nitrico alla base degli esplosivi, aggiudicandosi così
il Nobel per la chimica nel 1918 per «avere migliorato gli standard
dell’agricoltura e aumentato il benessere dell’umanità». Risolse la
fondamentale questione, che nel 1898 il collega britannico William Crookes
(1832-1919) aveva sollevato in questi termini: «La fissazione dell’azoto è un problema del futuro prossimo. Se non la
inseriremo tra le certezze del futuro, la grande razza caucasica cesserà di
essere la prima al mondo e sarà sterminata dalle razze per cui il pane di
frumento non è il sostentamento dell’esistenza».
In natura, il terreno per le coltivazioni cerealicole –
elette in Occidente a vital food – dipende dall’azoto che si trova
inerte nell’80% dell’atmosfera e l’assorbimento avviene attraverso dei batteri
di alcune radici leguminose o talvolta tramite fulmini che lo spezzano nell’aria
facendolo ricadere in fertile pioggia. Nella limitatezza naturale dell’azoto,
le colture non si sarebbero estese o intensificate, con conseguenti rotture
demografiche, se non fosse intervenuto l’artificio della fissazione, che si
attiva a elevatissimi gradi di pressione e di temperatura con ingente consumo
di combustibili fossili per creare fertilità sintetica tra concimi e pesticidi,
sfasciando però il ciclo biologico degli ecosistemi.
Ritornando alla guerra, quando tutti i belligeranti si
equipaggiarono di armi chimiche e maschere antigas, la Commissione tedesca
non perse tempo a ricercare e architettare delle soluzioni più dannose: dal
fosgene con un composto di clodio e ossido di carbonio ed effetti di micidiale
asfissia al difenil-cloruro di arsenico, che infrange le protezioni, per
arrivare al fluido di cloro e zolfo, detto “gas mostarda” per l’odore di senape
o aglio, che brucia la cute con irritazioni, vesciche, cecità ed esiti letali
per l’apparato respiratorio. Uno degli ultimi combattimenti al gas fu sferrato
nella notte del 13 ottobre 1918 dai britannici sulla collina a sud di Wervik,
nel fronte belga. Un soldato tedesco testimonia: «Verso mezzanotte parecchi compagni ci abbandonarono, molti per sempre.
Verso mattina un dolore acuto si impossessò di me, di quarto d’ora in quarto
d’ora più atroce, e verso le sette, barcollando, con gli occhi bruciati,
dovetti tornarmene indietro, portando con me l’ultimo marchio della guerra.
Qualche ora più tardi i miei occhi erano diventati due carboni ardenti, e non
vedevo più nulla».
Quel soldato era il giovane caporale Adolf Hitler
(1889-1945), che durante il ricovero in ospedale per cecità rifletté sulla
sventura della Patria e diventò poi Führer. Egli interromperà la carriera di
Haber, l’ideatore degli aggressivi chimici che l’avevano ferito, ma non per
punirlo o vendicarsi, bensì a causa delle sue origini ebraiche, costringendolo
ad emigrare in Inghilterra, però non senza farsi lasciare prima la formula del
disinfestante Zyklon B, usato nei campi di concentramento per sterminare gli
ebrei e prodotto dal conglomerato aziendale IG Farben, di cui faceva parte la Bayer. Neppure gli
alleati risparmiarono i sopravvissuti all’olocausto da trattamenti gassosi, per
ripulirli da pulci e parassiti con il DDT della compagnia agrochimica
statunitense Monsanto, adoperato come insetticida finché non ne venne
scientificamente dimostrata la micidiale dannosità.
Nell’immediato post-conflitto mondiale le sostanze chimiche
continuarono a servire gli scopi militari, trovando sostentamento dall’unione
di Monsanto e Bayer nella joint venture Mobay Chemical, per la produzione
dell’acido 2,4,5-triclorofenossiacetico (2,4,5-T), conosciuto con il nome di
Agente Arancio per il contenitore a strisce arancioni; nel 1961-71, dal cielo
del Vietnam comunista ne vennero irrorati 80 milioni di litri dagli aerei
trasportatori C-123 dell’esercito USA per defogliare su larga scala le foreste
in 80.000 kmq di territorio, nel tentativo di privare i vietcong della
copertura vegetale. Ingrediente “occulto” dell’Agente Arancio era la diossina,
che si rilevò letale per 4 milioni di vietnamiti; uomini, donne e bambini
furono esposti al veleno portatore di malformazioni genetiche, anomalie
riproduttive, difficoltà respiratorie, danni immunitari, tumori e morte, e
perdurano tuttora delle disabilità per almeno 1 milione di abitanti.
L’intellettuale Noam Chomsky afferma: «Nel caso dell’Agente Arancio, il governo statunitense dichiarò di non
essere a conoscenza del fatto che contenesse diossina, una delle più letali
sostanze cancerogene note. Un nuovo studio di Fred Wilcox sugli effetti
dell’Agente Arancio dimostra che le aziende appaltatrici che rifornivano il
governo ne erano perfettamente al corrente e decisero di non eliminare le
componenti letali per non dover sostenere spese aggiuntive. Che Washington ne
fosse all’oscuro sembra poco plausibile, ed è probabile che sia un esempio di
quella che a volte è stata definita “ignoranza intenzionale”. Bisogna ricordare
che cinquant’anni fa, con l’intensificarsi dell’offensiva americana in Vietnam,
il presidente Kennedy autorizzò l’uso di armi chimiche per eliminare la
copertura forestale che offriva riparo al nemico e distruggere le coltivazioni.
Già questo è un crimine, anche senza tener conto delle spaventose conseguenze
che ha avuto, con le malformazioni congenite documentate ancora oggi, a
distanza di generazioni, negli ospedali di Saigon, per la trasmissione delle
mutazioni genetiche».
Negli anni che seguirono, tra crepuscoli ideologici e
dominio consumista, ecco avverarsi il presagio di Haber con la conversione e il
pieno impiego in agricoltura degli elementi chimici, che pervadono fauna e
flora sotto forma di ecocidi o elisir di morte, come li chiamava l’ecologista
biologa Rachel Carson (1907-1964) per indicarne l’immenso potere velenoso
sull’ambiente e gli organismi viventi, avvertendoci che «per la prima volta nella storia del mondo», come scrive nel best
seller Primavera silenziosa del 1962, «oggi
ogni essere umano è sottoposto al contatto con pericolose sostanze chimiche,
dall’istante del concepimento fino alla morte. Gli antiparassitari sintetici,
in meno di vent’anni di impiego, si sono così diffusi nell’intero mondo animato
e inanimato che ormai esistono dappertutto. Sono stati trovati nella maggior
parte delle principali reti fluviali e anche nei corsi d’acqua sotterranei.
Residui di tali prodotti permangono sul terreno anche una dozzina d’anni dopo
l’irrorazione. Sono penetrati nel corpo dei pesci, degli uccelli, dei rettili e
degli animali domestici e selvatici e vi si trattengono in tale misura che gli
scienziati, quando effettuano i loro esperimenti su di essi, constatano la
quasi impossibilità di trovare dei soggetti immuni. Sono stati riscontrati nei
pesci di remoti laghi lontani, nei lombrichi rintanati sotto il suolo, nelle
uova degli uccelli e nell’uomo stesso, giacché si sono accumulati anche nella
maggior parte di noi, senza distinzione d’età».
Perfino Hitler, riapparendo nel tempo odierno – dal film Lui
è tornato di David Wnendt basato sull’omonimo romanzo di Timur Vermes – li
assorbe quando nel centro di Berlino, tra incredulità e scherno dei turisti, si
avvicina a una giovane madre per chiederle in quale anno si trovasse; in
risposta la donna, spaventata, gli spruzza sugli occhi lo spray pepato
antiaggressione accecandolo per la seconda volta e facendogli assimilare
residui di pesticida, che in elevate dosi permangono nella pianta di
peperoncino, ed è proprio il caso di dire “chi la fa l’aspetti!”. Con moltissima
probabilità, quel pesticida è il glifosato, oggi presente dappertutto, con gli
oltre 8,6 miliardi di kg spruzzati sulla Terra dal 1974, distinguendosi come il
killer erbaceo più usato nella storia, che riprendendo le parole della Carson: «allunga la lista di nuovi e ancora più
mortali composti chimici. […] Se siamo arrivati al punto di vivere a così
stretto contatto con queste sostanze – ingerendole con gli alimenti,
trattenendole nel midollo stesso delle nostra ossa – dobbiamo pur sapere
qualcosa di più sulla loro natura ed efficacia».
Cominciamo quindi a conoscere siffatta “banda di
avvelenatori” e in modo particolare il glifosato o glifosate – in inglese
glyphosate – uno dei “capi”, il più pericoloso, sparso su un terzo del pianeta
e sfuggente alla messa al bando per tossicità con il beneficio di pochi e il
rischio di molti. D’ora in poi, lo abbrevierò con “G” per raccontarne le gesta;
per quanto nell’antica simbologia alchimistica il segno alfabetico significhi
“creazione”, nel nostro caso è sinonimo di “distruzione” in un mondo consumato
nel giro di un solo secolo da inquietanti tecno-manipolazioni della natura.