A Torino in Via Palma 7 la Società generale di mutuo soccorso degli operai il 4 ottobre 1854 aprì uno spaccio alimentare, chiamandolo Magazzino di previdenza. I prodotti erano venduti agli associati al “primitivo costo”, cioè ad importi convenienti e leggermente superiori a quelli di acquisto, con un guadagno che serviva solo a coprire le spese gestionali.
Da questo modello discende l’insegna Coop con il primo negozio a Reggio Emilia nel 1963, per creare successivamente il principale sistema cooperativo italiano di grande distribuzione organizzata che comprende Coop Lombardia, Coop Liguria, Coop Centro Italia, Unicoop Tirreno, Unicoop Firenze, Novacoop e Coop Alleanza, con un migliaio di strutture tra ipermercati, supermercati, superette e superstore, per una dimensione affaristica aggregata intorno ai € 14 miliardi annui.
Coop ha nel tempo diversificato l’attività, oltre il retail,
penetrando in svariati settori quali finanziario, immobiliare, editoria,
librerie, telecomunicazioni, utenze luce gas, carburanti, agenzie viaggio,
e-commerce, assicurazioni, ospedaliero e farmaceutico. Grazie alle
liberalizzazioni del “compagno cooperante” ed ex Ministro dello sviluppo economico
Pier Luigi Bersani, possiede un proprio marchio di aspirina e 156 corner con
4.000 referenze low cost di OTC, omeopatici, veterinari e parafarmaci. La
sanità negli scaffali del supermarket induce però il consumatore a fare incetta
ed imbottirsi di medicine, anche per semplici raffreddori, emicranie e disturbi
gastrointestinali.
I proprietari di Coop sono circa 7 milioni di persone che
con una quota di € 25 diventano soci e ricevono una Carta di appartenenza,
assumendo il doppio ruolo di cliente a cui in esclusiva sono offerti sconti o
premi e di lavorante senza compenso, ma portatore di plusvalore, come quando, durante
la spesa, utilizza il lettore ottico Salvatempo o lo smartphone per prezzare
direttamente le merci, contribuendo alla velocizzazione delle operazioni di
cassa.
I soci possono inoltre depositare i risparmi nei forzieri
del prestito sociale, pari a € 9-10 miliardi, che Coop reinveste in titoli di
Stato, obbligazioni bancarie e partecipazioni societarie, specialmente nel
gruppo Unipol, di cui è il primario azionista, svolgendo attività speculative
con numeri simili ad una banca: dal 2013 al 2017 la gestione finanziaria ha generato
risultati positivi di € 1,4 miliardi, compensando i margini cumulati negativi di
€ 415 milioni dalla vendita di beni di largo consumo (dati Mediobanca).
Il prestito sociale è pure fonte di risorse per lo sviluppo
della rete distributiva. Ad esempio nel periodo 2016-18 Coop Alleanza ha
investito € 600 milioni nel rinnovo dei punti vendita per renderli attrattivi e
in particolare € 30 milioni sono stati destinati nel 2017 per il totale
rifacimento sperimentale dei tre ipermercati più ampi e frequentati negli
shopping center Grandemilia di Modena, Esp di Ravenna e Centro Nova di
Castenaso/BO.
Il nuovo format, denominato Extracoop, supera il
tradizionale modello di ipermercato con un layout progettato per allungare la
permanenza del consumatore. Le aree di passaggio sono state ampliate
posizionando al centro il cibo con “la via dei freschi”: dal pane reclamizzato
come appena sfornato, ma ottenuto dalla doratura del parzialmente cotto e
surgelato che l’indomani è immangiabile, alle verdure o frutta di IV e V Gamma
imballate in tanta plastica. Attorno è collocata “la via della scoperta” con
elettronica, casalinghi, abbigliamento, cartoleria, giocattoli, igiene
domestica o personale ed altro. Tra le due “vie” le mercanzie sono tutte
visibili in modo da riporle simultaneamente nel carrello. La barriera delle
casse è stata arretrata per piazzare degli shop a marchio Coop con affaccio nella
galleria commerciale, dalla gioielleria all’ottica fino al ristoro, spingendo
il consumatore a proseguire negli acquisti.
Una novità è lo shop di piante e fiori in partnership di
fornitura con il brand Monceau Fleurs del gruppo francese Emova. Attenzione,
però, perché le loro rose sono strapiene di pesticidi come documentato nel 2017
dal test di laboratorio della rivista «60 Millions de Consommateurs» che ha
rilevato un cocktail di sostanze tossiche fra
cui gli insetticidi neonicotinoidi accusati di apicidio e il fungicida
dodemorph dannoso per organismi acquatici. Le rose distribuite da Emova
provengono dalle serre olandesi, ininterrottamente illuminate e riscaldate,
oppure dalle piantagioni in Ecuador, Etiopia e Kenya, con trasporto aereo e
camion refrigerati per viaggi di 9.000 km: in entrambi i casi il dispendio
energetico è abnorme. Sul territorio keniota l’industria floreale è concentrata
ad un’altitudine di 2.000
metri nella città di Naivasha con un lago
che sta morendo a causa dell’estrazione giornaliera di 20.000 metri cubi
di acqua per irrigare e del deflusso di scarti chimici da fertilizzati e
diserbanti, determinandosi una moria di pesci e di bestiame che beve l’acqua
inquinata. Gli operai lavorano in condizioni disumane con turni massacranti,
senza protezioni di sicurezza e norme igieniche, spesso vittime di abusi
sessuali, per una misera paga mensile che non arriva nemmeno a 100 dollari.
Ma Coop Alleanza – promotrice di sostenibilità ambientale e
dal 1998 certificata SA8000 per l’eticità del lavoro nella filiera di fornitura
– ha controllato, prima di stipulare l’accordo, l’origine dei fiori del partner
Monceau Fleurs?
Concludo con Mario Frau, ex dirigente Novacoop e autore del
libro La Coop non
sei tu, dove testimonia che la
Coop ha sacrificato il mutualismo delle primigenie
cooperative, in nome del profitto e dell’arricchimento, mostrandosi adesso con
due facce: «da un lato quella accattivante dei presunti valori distintivi di
socialità e di solidarietà che coglie tutti i vantaggi e i benefici riservati
alle società cooperative, dall’altra quella che sfrutta spregiudicatamente
tutti i vantaggi del collateralismo politico e del mercato capitalistico».