Per spiegare i meccanismi speculativi di queste
organizzazioni di rating bisogna partire dalla seconda metà dell’Ottocento
quando il processo di accumulazione del capitale ha seguito un avanzamento
esponenziale e la stessa produzione che ne sta a fondamento non è riuscita a
tenerne il passo. La massa di capitali accumulati non ha tuttavia raggiunto il
pieno impiego fino a quando non è subentrata la fase del capitalismo monetario
che supera i cicli di produzione e consumo delle merci incentrandosi in
un’odierna «società deindustrializzata e post-consumistica ovvero indebitata»
per riprendere una frase di Stefano Franchini (nell’introduzione nel libro da
lui curato “Il capitalismo divino: colloquio su denaro, consumo, arte e
distruzione” edito da Mimesis).
Un debito permanente che trascina interi paesi e singoli
consumatori ai quali si affibbia un’etichetta di affidabilità creditizia,
meglio nota con il termine “rating”, emessa da agenzie private fondate alla
fine dell’Ottocento. Stiamo parlando delle tre sorelle Standard & Poor’s,
Moody’s e Fitch che da qualche anno influiscono sul mercato
mondiale imponendosi come demiurghi delle crisi finanziarie. Nel libro “Le
agenzie di rating” (edito dal Mulino) Giovanni Ferri e Punziana Lacitignola ne
descrivono l’origine, la struttura, il ruolo e le problematiche legate alla
finanza internazionale, affermando che «[…] le agenzie forniscono un’opinione
su quello che è il merito di credito in un determinato lasso di tempo, e a essa
è collegata una specifica probabilità di default». Migliaia di organizzazioni
economiche private o pubbliche vengono osservate nella capacità di onorare i
debiti rimborsando capitale e interessi con una valutazione basata su una serie
di elementi quali probabilità, rischio, incertezza e complessità, a cui si lega
un segno alfanumerico che sintetizza varie informazioni quantitative o
qualitative e generalmente parte da una tripla A per un alto grado di
solvibilità fino alla D per l’insolvenza.
In pratica le agenzie di rating interpretano i dati del
presente per anticipare gli scenari futuri, ma in realtà dai primi anni Duemila
a oggi non hanno previsto la bancarotta di Enron negli Stati Uniti, il default
dei bond argentini, i crac Parmalat e Cirio in Italia, il crollo della banca
Lehman Brothers, avallando positivamente prodotti finanziari anomali su cui
nessuno avrebbe scommesso e milioni di risparmiatori sono stati messi in
ginocchio. L’Associazione di consumatori Adusbef di Roma aveva già avvertito il
mercato sulle previsioni errate delle tre sorelle del rating e nel 2013 ha
avviato un’azione legale contro una sospetta emissione di un rating sovrano
negativo sull’Italia circa un presunto rischio di insolvenza ad adempiere agli
impegni del debito pubblico. La procura di Trani ha svolto le indagini
concludendo poi l’inchiesta con l’accusa per Standard & Poor’s di
«manipolazione di mercato pluriaggravata e continuata che ha provocato una
destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizio dell’Italia
sui mercati finanziari»; nel documento di chiusura delle indagini si può
leggere che «fornivano intenzionalmente ai mercati finanziari, quindi agli
investitori, un’informazione tendenziosa e distorta in merito all’affidabilità
creditizia italiana ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico
adottate dal Governo, per modo di disincentivare l’acquisto di titoli del
debito pubblico italiano e deprezzarne il valore».
Nel libro “I signori del rating” (edito da Bollati
Boringhieri) Paolo Gila e Mario Miscali spiegano che per conoscere le agenzie
di rating «il baricentro dell’attenzione deve essere spostato sugli assetti
proprietari, sulla rete di relazione che esiste tra questi “sistemi esperti”
che controllano e guidano i mercati, il mondo degli investitori e quello del
rating. Che cosa accadrebbe se qualche società o qualche uomo della finanza
fosse presente contemporaneamente su tutti questi piani (informazione,
controllo, investimento, rating) e potesse accedere alle informazioni mondiali
rilevanti alla velocità della luce mentre parallelamente decide le sorti di un
Paese attraverso un giudizio di valutazione della capacità di credito dei suoi
bond?».
Uno degli azionisti dell’agenzia Moody’s è il magnate Warren Buffett, mentre un azionista di minoranza
comune alle tre sorelle è il fondo di private equity
BlackRock, ed
entrambi hanno puntato sempre su “cavalli vincenti”. Sullo stesso mercato questi
big della finanza da un lato giudicano e dall’altro investono, richiamando alla
mente il finanziere d’assalto degli anni Ottanta Gekko Gordon del film Wall
Street che, munito di informazioni riservate e reperite con l’inganno,
speculava cinicamente in Borsa per fare soldi in poche ore anche se provocava
fallimenti di aziende e la perdita di posti di lavoro.
Il professore Pierangelo Da Crema nel libro “La crisi della
fiducia” (edito da Etas) individua le colpe del rating nel crollo della finanza
globale ma avverte che «[…] sbaglierebbe chi volesse riconoscere la radice di
quanto è successo solo nell’avidità degli uomini del rating e della finanza. Su
uno sfondo brulicante e sconfinato premono i bisogni e i desideri di un’umanità
intera, la voglia di tutti di avere di più». Siamo dinanzi a un gioco
pericoloso dove a ogni debito corrisponde un credito e al vantaggio di uno lo
svantaggio di tanti altri che sono oramai soggiogati da una pesantissima crisi
non di penuria di beni ma per mancanza di eccesso, ovvero i beni non mancano e
le persone vogliono consumare sempre di più senza mai soddisfarsi ed
indebitandosi per mantenere questo stile di vita. Il consumatore rappresenta
l’ultimo anello del sistema capitalistico di produzione e distribuzione di beni
di consumo, sia materiali che immateriali, ma paradossalmente ha il potere di
influenzare tutta la filiera economico-finanziaria verso l’alto per avviare un
primo cambiamento attraverso l’adozione di comportamenti di sobrietà nei
consumi con una conseguente riduzione del debito.
[Autore dell'articolo: Saverio Pipitone - già pubblicato sul sito www.ilcambiamento.it]