Il violinista russo che vinse Hitler

In tempi di cattiva memoria storica non è corretto [dunque lo faremo] ricordare che nel febbraio 1943 i nazisti iniziano la loro rotta da un luogo che allora si chiamava Stalingrado. Andò così.
Nel giugno ‘42 la Germania attacca l’Unione Sovietica con tre armate composte da 150 divisioni, 600.000 mezzi motorizzati, 3580 carri armati, 7200 pezzi di artiglieria e 3000 aeroplani. L’obiettivo strategico dell’operazione Barbarossa non è solo invadere l’Urss ma distruggere definitivamente il bolscevismo. Le armate tedesche si muovono verso Mosca, Leningrado [oggi Sanpietroburgo] e Stalingrado [Volgograd]. A difendere quest’ultima città esclusivamente forze di terra. Stalin, l’uomo delle purghe, si ricorda forse di essere «Koba il rivoluzionario» [altro suo pseudonimo usato nell’ottobre 1917]. La notte di capodanno invia a Stalingrado attori e musicisti per tenere alto il morale dell’Armata rossa. Il violinista Mikhail Goldstein si reca fin dentro le trincee per esibirsi in un assolo di fronte ai soldati. Gli altoparlanti diffondono la melodia fino alle trincee tedesche. Sorpresa: i nemici smettono di sparare. Quando Goldestein s’interrompe, da un altoparlante del fronte avverso una voce, in russo stentato, invita il musicista a continuare: precisa che in cambio di Bach «interrompono la battaglia». Goldestein riprende il violino e si scatena in un’allegra gavotte proprio di Bach. Sono minuti di autentica solidarietà fra nemici, non nuovi del resto nelle trincee [molti ne accaddero nel ‘15-’18 talvolta trasformandosi in rivolte o diserzioni di massa]. Fu un caso se quella notte la VI armata tedesca, comandata dal generale von Paulus, si arrese? Nel febbraio 1943 comincia, con una temperatura di meno 40 gradi, la ritirata tedesca dal territorio russo: è anche l’inizio della fine per il nazismo. Anche se la guerra continua, come dice la canzone Revolution 909 dei Daft Punk «stop the music and go home». O, se preferite, gli Stormy Six: «L’inverno mette il gelo nelle ossa ma dentro le prigioni l’aria brucia, come se cantasse il coro dell’Armata rossa […] Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa: d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città».
[Articolo di Saverio Pipitone con pubblicazione nel febbraio 2005 sulla rivista Carta Cantieri Sociali e oggi ripubblicato nel blog].