Partiamo dalle origini. Il 9 ottobre 1917 al droghiere Clarence Saunders approvarono il brevetto “Self-Serving Store” (numero serie US 1.242.872), depositato l’anno prima, dopo che l’11 settembre 1916 aveva aperto al 79 di Jefferson Avenue a Memphis, nel Tennessee, un innovativo negozio di 100 mq ad insegna Piggly Wiggly. Un’unica entrata con tornello conduceva in un serpeggiante e circoscritto percorso di quattro corridoi tra scaffali paralleli, contenenti 600 prodotti prezzati, dal fresco al confezionato, che il cliente inevitabilmente visualizzava e in automatico si serviva da sé, senza assistenza e dialogo, fino all’uscita, dove l’attendeva un registratore di cassa.
Iniziò così l’estinzione della tradizionale piccola bottega e lo sviluppo del moderno supermarket. Nel giro di un secolo le superfici di vendita divennero sempre più ampie raggiungendo il top dell’evoluzione con l’ipermercato – 20.000 metri quadri e 50.000 referenze food e non-food – per una grande distribuzione organizzata, in sigla GDO, come motore della società dei consumi.
Le strutture della
GDO sono di solito ubicate attorno alle città e vicine agli sbocchi
autostradali e tangenziali, con parcheggi multipiano o sotterranei, per essere
raggiunte facilmente ed accedere velocemente nelle gallerie o corsie del
consumo con le merci ordinate “tutte sotto lo stesso tetto”.
In Italia le principali insegne distributive, come Coop, Conad, Esselunga, Auchan e Carrefour, si trovano all’interno di circa 1.000 centri commerciali che occupano oltre 15 milioni di mq di territorio per 1,8 miliardi di visitatori all’anno.
In Italia le principali insegne distributive, come Coop, Conad, Esselunga, Auchan e Carrefour, si trovano all’interno di circa 1.000 centri commerciali che occupano oltre 15 milioni di mq di territorio per 1,8 miliardi di visitatori all’anno.
Ad esempio il Centro Meridiana di Casalecchio di Reno/BO è su
una superficie di quasi 35.000 mq con parcheggio per 1.800 auto, una quarantina
di attività commerciali, aree ristoro, palestra, multisala cinematografica e
piazze all’aperto per concerti, sfilate di moda, esibizioni artistiche, pista
di pattinaggio ed eventi. Nelle vicinanze, a meno di tre chilometri, erge poi
la “stella cometa” di IKEA che guida il consumatore nello Shopville Gran Reno,
altra megastruttura, su cui di recente è stato avviato un progetto di
ampliamento, ed è probabile che in futuro i due centri possano congiungersi, con
la nascita di un vero e proprio distretto commerciale per un nuovo modello del “tutto
sotto lo stesso cielo” in cui trascorrere la giornata o l’intero week-end.
Entro il 2021
in Italia è inoltre prevista una colata di cemento su 1,3
milioni di mq per altri shopping center e il più grosso è il Westfield
nell’area dell’Ex Dogana alle porte di Segrate/MI con 185.000 mq su cui
sorgeranno 300 negozi, 50 ristoranti, un cinema di 16 sale e 10.000 posti auto,
per un bacino di utenza di 6,3 milioni di abitanti e un potenziale di spesa di
oltre € 50 miliardi.
Nonostante le periferie siano sature, la GDO non arresta l’avanzata e da qualche tempo espugna anche dei contesti già edificati, come i negozi di prossimità e le vecchie fabbriche dismesse nei centri popolati, cancellandone la memoria storica, oppure penetra nelle zone di transito quali aeroporti, stazioni ferroviarie e porti marittimi per un consumismo nomade.
Nonostante le periferie siano sature, la GDO non arresta l’avanzata e da qualche tempo espugna anche dei contesti già edificati, come i negozi di prossimità e le vecchie fabbriche dismesse nei centri popolati, cancellandone la memoria storica, oppure penetra nelle zone di transito quali aeroporti, stazioni ferroviarie e porti marittimi per un consumismo nomade.
I grandi spazi commerciali sono progettati scientificamente
dai “demiurghi” della distribuzione organizzata per attrarre, coinvolgere e
incanalare il maggior numero di persone, impadronendosi del loro tempo libero. L’antropologo
francese Marc Augé li chiama “non-luoghi” perché privi di identità, relazioni e
storicità, senza vita sociale e culturale, mentre il sociologo statunitense George
Ritzer li definisce “cattedrali del consumo” per le dinamiche rituali tipiche
della religione in un rapporto sacrale con la merce.
L’iperconsumatore è
catapultato in una dimensione irrazionale, finta ed illusoria, slegandosi dal
reale e smarrendo il senso del tempo. Con un apprendistato tra messaggi visivi,
sconti, offerte speciali, buoni acquisto, premi e carte fedeltà, diviene un adepto dei Templi
dello shopping indotto, impulsivo e sfrenato. Riduce l’esistenza al solitario e
istantaneo atto del consumo, per un continuo accumulo di beni – senza
più considerarne il valore d’uso e molto spesso superflui – che accrescono a
dismisura lo spreco: sciagura del XXI secolo.
Nei decenni successivi al brevetto di Clarence Saunders,
negli Stati Uniti aprirono i primi shopping center e in uno di essi venne
nascosta una videocamera per registrare i movimenti delle palpebre degli
avventori nel momento in cui si aggiravano tra gli scaffali; il numero dei
battiti scendeva alla media di quattordici al minuto, come i pesci, facendoli
precipitare in una forma di trance ipnotica. La sindrome è chiamata Transfer di
Gruen (dal cognome dell’architetto austriaco Victor) che provoca perdita di
controllo decisionale e confusione da input consumista con sintomi di sguardo
vitreo, assenza di orientamento e suggestionabilità.
Peggio ancora è scadere nella violenza alla maniera di Arnold Schwarzenegger nella commedia “Una promessa è una promessa” quando a Natale, nel centro commerciale, bisticcia e picchia per comprare al figlio l’introvabile giocattolo Turbo-Man. Come disse Tim Magill – progettista del gigantesco Mall of America (dove fu girato il film) – «Vogliamo farvi perdere la testa».
Peggio ancora è scadere nella violenza alla maniera di Arnold Schwarzenegger nella commedia “Una promessa è una promessa” quando a Natale, nel centro commerciale, bisticcia e picchia per comprare al figlio l’introvabile giocattolo Turbo-Man. Come disse Tim Magill – progettista del gigantesco Mall of America (dove fu girato il film) – «Vogliamo farvi perdere la testa».