Il biscotto è equo ma forse… un po’ «armato»

di Saverio Pipitone [pubblicato il 15/9/2017 in www.labottegadelbarbieri.org]
 
“L’uomo che salverà il mondo” è il titolo dello spot web di Altromercato per migliorare il pianeta cominciando con il semplice gesto di una colazione equosolidale.
Nato nel 1988 sotto forma di Consorzio con sede legale a Bolzano e operativa a Verona, Altromercato promuove e realizza pratiche di sviluppo sostenibile ed economia solidale.
Aggrega più di 100 consorziati fra cooperative ed associazioni non-profit che coinvolgono attivamente 30.000 persone e 5.000 volontari con la gestione di circa 260 botteghe sul territorio italiano per la vendita di alimenti, abbigliamento, oggettistica, cosmesi, igiene domestica ed altro.
Intrattiene rapporti di cooperazione e scambio equo con oltre 150 organizzazioni di produttori del sud del mondo che comprendono decine di migliaia di contadini e artigiani marginalizzati dal mercato. Al produttore paga un giusto prezzo che valorizza i costi reali di lavorazione e consente una retribuzione dignitosa del lavoro, nel pieno appoggio alle piccole realtà locali, garantendogli trasparenza e continuità nella relazione commerciale, per creare nel lungo periodo delle forme di auto-sviluppo economico e sociale.
Altromercato esorta i consumatori a chiedersi sempre da dove provengono i beni di consumo e a usare il potere della scelta consapevole per evitare lo sgradevole ingrediente dello sfruttamento delle popolazioni mondiali.
Nella campagna pubblicitaria suggerisce 7 mosse per iniziare la giornata da filantropo e una di queste è: “Cerca un biscotto che sia il frutto della collaborazione tra diversi partner che lavorano per uno sviluppo sostenibile”. Nelle botteghe lo troviamo alle gocce di cioccolato o al cacao/arachidi nella linea Buona Colazione, ma chiediamoci: è un prodotto al 100% equosolidale?
È un SI’ per le materie prime che arrivano dagli agricoltori svantaggiati dei paesi latinoamericani, africani e indiani, ma è un NO per la produzione perché effettuata nello stabilimento Tonon a Verona.
Quest’ultimo è di proprietà dell’azienda piemontese di prodotti da forno Monviso, a sua volta controllata nell’ambito delle private equity inserendosi nel secondo fondo di investimento italiano Pm&Partners, di cui importante investitore è l’olandese Alpinvest, riconducibile alla statunitense Carlyle Group.
Le private equity svolgono attività speculativa, disponendo di capitali macroscopici (valutati complessivamente per 820 miliardi di dollari nel 2016) con l’acquisizione di imprese ad alto potenziale di crescita, che talvolta riorganizzano con profondi tagli dei costi, al fine di massimizzare i profitti nel breve periodo e disinvestire in 3/4 anni con la vendita delle azioni, ottenendo delle plusvalenze che ammontano quasi sempre al doppio dell’investimento iniziale. I settori più gettonati per la speculazione sono difesa, energia, sanità, infrastrutture, tecnologico, telecomunicazioni, immobiliare, retail e largo consumo.
Tra gli investimenti fatti da Carlyle Group vi sono: l’industria di armamenti TEXTRON, specializzata nella produzione delle micidiali bombe a grappolo, che sganciate da velivoli ed elicotteri colpiscono per il 98% i civili; l’agenzia di rating canadese DBRS che, insieme alle statunitensi Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s, rappresentano i demiurghi delle crisi finanziarie che attraverso delle controverse valutazioni di declassamento destabilizzano l’equilibrio finanziario di interi Paesi.
Primi azionisti di Carlyle Group sono le banche d’affari newyorkesi Morgan Stanley e Goldman Sachs. Qui siamo al top della finanza aggressiva! Parliamo di superspeculatori mondiali sulle commodity (materie prime/derrate alimentari) nel doppio ruolo di investitori e di trader che gli consente il reperimento e l’utilizzo di informazioni privilegiate per giocare sui prezzi a rialzi inflazionistici o ribassi deflazionistici, assumendo posizioni monopolistiche nella distribuzione di cibo, minerali e petrolio, con l’unico obiettivo di conseguire profitti miliardari nel più breve tempo possibile, a scapito dei Paesi più poveri in Africa, in India e nell’America Latina.
Un’amara colazione per il consumatore etico che voleva salvare il mondo e invece lo peggiora sostenendo un mercato tutt’altro che equosolidale.