In un poster scolastico della Germania nazista è
raffigurato l’eroe che salva la bella addormentata nel bosco e le rivolge il
saluto hitleriano. Sulla copertina dell’abbecedario per la prima classe è
disegnata la gente comune che saluta con il braccio destro alzato e la scritta Heil era da ricopiare come esercizio di
scrittura.
Nel dizionario illustrato della lingua tedesca del 1935, tra le
varie forme di saluto, quello hitleriano è al primo posto. In tutto il Paese
piccole targhe smaltate sui pali della corrente e dei lampioni con la scritta
“Il tedesco saluta con Heil Hitler” invitavano a usare il nuovo saluto. Queste
immagini vengono riportate in un libro di
Tilman Allert, docente di sociologia all’Università di Francorforte, dal
titolo “Heil Hitler! Storia di un saluto infausto”, edito nel 2008 da Il
Mulino. Nelle pagine del libro si ripercorre una breve storia del saluto come
forma primordiale di scambio comunicativo che mette le persone in un obbligo di
reciprocità: «pratiche sociali – scrive l’autore – che mediano le interazioni
umane, che disciplinano l’incontro e che regolano l’apertura verso l’altro». In
Germania vi erano diverse forme di saluto e si andava dal neutro Guten Tag (buongiorno) a quello
cattolico delle regioni del sud che presuppone l’incontro mediato da Dio tra
due individui appartenenti alla stessa comunità. Il 13 luglio 1933 il Terzo
Reich promulga un decreto con cui introduce il saluto hitleriano come unica
forma autentica di saluto tedesco: «un piccolo atto pratico di nazionalsocialismo
consistente nell’enunciare Heil Hitler quando il braccio destro, in caso di
impedimento fisico il sinistro, viene alzato con mano aperta fino all’altezza
degli occhi. Wilhelm Frick, ministro degli interni del Reich, invia una
circolare agli uffici pubblici con cui comunicava che: «dopo lo smantellamento
dello Stato fondato sui partiti (la Repubblica di Weimar), il saluto nazista è
diventato il saluto tedesco». Persino in ogni comunicazione scritta, nel
concludere le transazioni commerciali o nella compilazione della busta paga vi
era l’obbligo di utilizzare la formula dell’Heil Hitler. In questo contesto, il
sociologo tedesco ci spiega nel libro che «Ogni volta che si decide di salutare
qualcuno – o di non salutarlo – si compie un gesto di auto definizione
individuale. Nel caso di Heil Hitler, la legge che vincola a usarlo costringe i
tedeschi a definire se stessi e i loro valori in rapporto al Fuhrer,
innalzandolo al ruolo di terzo invisibile preposto alla mediazione di ogni
interrelazione sociale». Heil che
significa letteralmente felicità e prosperità, o in senso religioso anche
salvezza, comparve originariamente nell’Ottocento in Germania come tipo di
saluto all’interno dei circoli nazionalisti e romantici, i quali contrari alla
civiltà moderna aspiravano a rapporti autentici «in tempi di eterni conflitti e
lacerazioni». L’autore del libro continua la storia del saluto nazista
analizzandolo con un approccio sociologico su tre prospettive: il grado di
interiorizzazione della regola; la sua efficacia nella comunità; la sua
validità come norma accettata dalle persone che compivano quotidianamente
milioni di volte questo gesto. In realtà l’assenso all’Heil Hitler non fu
immediato e incontrò non poche resistenze anche all’interno del partito
nazista, in quanto si obiettò sulla somiglianza con il suo precedente storico
romano, diffuso in Italia da Mussolini. Ad esempio, la Wehrmacht riuscì a
conservare le proprie forme di saluto fino a luglio del 1944 quando si
introdusse il saluto nazista per giurare fedeltà al Reich, dopo il fallito
attentato ad Hitler. In ogni caso, dal 1933 in Germania chi si rifiutava di
eseguire il saluto hitleriano rischiava di finire davanti al tribunale speciale
o rinchiuso in un campo di concentramento: «Chi non vuol essere sospettato di
comportamento intenzionalmente ostile tributerà il saluto hitleriano» stabiliva
la Direttiva per l’educazione al cameratismo e la cosiddetta “legge sui crimini
da perfidia” del 20 dicembre 1934 costituì lo sfondo istituzionale per
perseguire penalmente la violazione delle norme sul saluto. Dal quel giorno, ci
spiega Tilman Allert, l’incontrarsi comportò paradossalmente l’allontanarsi
l’uno dall’altro e il salutarsi rappresentò l’inizio di diffidenza e
indifferenza all’interno di una sfera del sospetto tipica dei sistemi
totalitari. Con la conclusione della seconda guerra mondiale e la caduta del
nazionalsocialismo il saluto hitleriano venne messo al bando e punito con la
reclusione fino a tre anni o con pena pecuniaria (Codice penale tedesco
paragrafo 86). Alla fine della storia di un saluto infausto, l’autore ci avverte che «Il saluto è l’aspetto più
“sacro” della socialità e del nostro rapporto con gli altri, e salutare
qualcuno significa offrirgli il più prezioso dei doni. Il saluto ci rassicura
della nostra esistenza qui ed ora, per noi e per gli altri. […] Noi conviviamo
ancora con la storia di quel gesto infausto che fu il saluto hitleriano, e una
delle lezioni che quella storia ci può insegnare è che dobbiamo diffidare dei
rituali obbligatori, specialmente quando sono imposti dall’alto. Tuttavia, per
quanto riguarda i saluti in generale, c’è un impegno preciso che dobbiamo
sottoscrivere: rispettare e omaggiare il loro valore, senza dimenticare il
sinistro pervertimento che hanno subito».
[Autore: Saverio Pipitone]